MARIO FREGONI DOCET

IL NOME DEL VITIGNO IN ETICHETTA
Nell’antichità greca il vino veniva conservato e commercializzato nelle anfore di terracotta,a volte interrate o poste nei ruscelli con acqua corrente fresca; sono storiche le anfore  omeriche di Ulisse,che le offre a Polifemo. Sulle anfore romane era evidente una sorta di etichetta denominata “ pittacium”,contenente tre semplici dati: il nome del produttore,
il luogo di produzione ( il genius loci) e l’anno di produzione ( o il nome del Console,il che era risaputo). Non c’era bisogno di altre informazioni,perchè era già una mini DOC.
Il nome della varietà di vite non era indicato perchè non si conosceva,in quanto i vitigni di Vitis vinifera franchi di piede erano propagati per seme ( seminati) o per talea, per cui nel vigneto le piante erano mescolate come colore e cosi vinificate. Del resto è giunta sino a noi la tradizione del Chianti,prodotto con uve nere e bianche. I vini più riconoscibili alla degustazione erano i Moscati,forse le varietà più antiche, note per il loro aroma terpenico ( linalolo,geraniolo). L’assenza del nome del vitigno sui recipienti del vino durò sino al 1600. Infatti Andrea Bacci, medico del Papa,nella sua monumentale opera del 1595 dal titolo “ De Naturali Vinorum Historia de Vinis Italiae” , illustra numerosi vini italiani ma
li indica con il nome della zona di origine, anche se non era delimitata e controllata. Della stessa epoca è il pregevole volume  “ I vini d’Italia” di Sante Lancerio ( 1559) , bottigliere ( sommelier) di  Paolo III Farnese, il Papa sicuramente più enofilo della storia della Chiesa.
Ebbene nel libro vengono descritti molti vini,anche francesi,ma il nome del vitigno non compare mai; sempre si cita il nome del luogo di produzione.
Fu nel 1700 che iniziò l’uso del nome del vitigno in qualche pubblicazione, ma sull’etichetta comparve nel 1800 contemporaneamente alla pubblicazione delle prime ampelografie, nelle quali i grappoli erano disegnati manualmente.Le varietà in purezza come le conosciamo attualmente sono state ufficializzate primariamente nell’ Ampelografia del  Gallesio ( 1838) denominata “Pomona italiana” e nell’ “ Ampelographie” di Viala et Vermorel, pubblicata tra il 1901 e il 1910. Pertanto si può stimare che il vitigno in etichetta si scriva da circa 180 anni, su 8000 anni di coltivazione della Vitis vinifera franca di piede.
La grande svolta si verificò alla fine del 1800 con l’arrivo in Europa della fillossera e l’applicazione dell’innesto dei vitigni di Vitis vinifera sulle specie americane. Nacquero molti consorzi di difesa e migliaia di vivaisti capaci di eseguire l’innesto manuale a doppio spacco inglese e di praticare la tecnica di forzatura termica per stimolare la saldatura al punto d’innesto degli innesti-talea,prelevati separatamente per ciascuna varietà.
I viticoltori furono obbligati a chiedere distintamente i vitigni e si abituarono a usare gli stessi nomi sulle etichette dei vini. Non esistevano leggi sulla denominazione di origine: la prima fu approvata in Francia nel 1935 mentre in Italia fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale nel 1963. La situazione odierna dell’ etichettatura,secondo una nostra stima desunta dai dati di produzione dell’OIV, il 60 % dei vini del mondo riporta il nome del vitigno in etichetta, spesso associato alla denominazione di origine,il 30 % ha un nome di marca e solo il 10 % porta in etichetta il nome geografico in purezza ( Barolo,Chianti, Marsala, Champagne, Porto,  Jerez, Tokay, ecc.).
Mentre in Francia non si è mai usato il nome del vitigno in etichetta,in Italia è la norma, tanto che il consumatore sceglie o chiede il nome della varietà. La Francia ha sempre seguito il criterio piramidale delle denominazioni, tanto che i crus a Bordeaux giungono l 15.mo livello. In Italia il vitigno sostituisce le sottozone e le attuali MEGA o UGA (unità
geografiche aggiuntive) sono tutte di livello uguale.
Si rammenta che su scala mondiale il vitigno è apolide,coltivabile dappertutto e legalmente non proteggibile, mentre il nome geografico viene protetto, specialmente nell’UE ( vedi il caso Tokay ungherese e quello Friulano) . 
All’interno dell’Italia nascono diatribe commerciali sull’uso del nome di vitigno in etichetta, come nel caso del Montepulciano, nome geografico in Toscana e nome di vitigno in Abruzzo. Secondo i principi dell’UE non ci sono dubbi e si dà la prevalenza al nome geografico. Si possono escogitare stratagemmi diversi, quale la trasformazione del nome
di una varietà in quello di una denominazione geografica, come nel caso del Prosecco, che da vitigno è diventato nome geografico, sfruttando tuttavia la presenza di una frazione di Trieste chiamata Prosecco. Ergo ci deve essere un nome geografico. Nel caso dell’Abruzzo non esiste una località che si chiama Montepulciano, mentre esiste un Comune omonimo in Toscana. Si potrebbe modificare il nome della DOC Abruzzo , come ad esempio “ Monte d’ Abruzzo”, che richiama vitigno e area geografica. Ma per farla conoscere nel mondo……
Puntare sulle UGA nella DOC Abruzzo è possibile ma con un grande sforzo di comunicazione per segnalare che si è rinunciato al vitigno per una Unità geografica aggiuntiva. Il nome di vitigno in piccolo in controetichetta è un rinvio del problema ma non la soluzione.
La soluzione potrebbe venire dall’uso del termine vigna con toponimo, che sostituisce il termine cru. Ma bisognerebbe rendere libera la possibilità di valorizzare la vigna, anche indipendentemente dalla denominazione geografica. Il Grand cru della Romanèe Conti non ha bisogno di scrivere in etichetta che si trova in Bourgogne e che si produce con il Pinot nero. Certo ci vuole tempo e notorietà, derivante dalla qualità. 
In sostanza al tempo dei Romani sul pittacium si anticipò l’uso del termine vigna.

Mario Fregoni
Presidente onorario dell’OIV

L’IBRIDO VEGETATIVO FRANCO DI PIEDE EURO-AMERICANO
E’ il titolo del nuovo lavoro dell’Amico Prof. Mario Fregoni, Presidente onorario dell’OIV, che da tanto ci indica la strada della tecnica per la osservanza delle norme di coltivazione del settore vitivinicolo.
L’articolo è stato diffuso nella Rivista “L’Enologo” di settembre 2023 la cui Redazione ci ha autorizzato a questa ri-pubblicazione.

LA MINERALITÀ
DESCRITTORE SENSORIALE D’ATTUALITÀ Da qualche tempo la stampa si occupa della mineralità dei vini, da non confondersi con la salinità.
Non esiste nemmeno una definizione che ne identifichi la mineralità sensorialmente e tanto meno scientificamente, stante la limitata esperienza della ricerca, ben riassunta da Costanza Fregoni (2016) sulla rivista AIS del Veneto………..

IL CAUCASO È LA CULLA DELLA VITE E DEL VINO
Il Caucaso è una massiccia ed alta catena montuosa che si estende dal Mar Nero al Mar Caspio e comprende Paesi storicamente importanti per la nascita della nostra Vitis Vinifera e del suo vino.
Chi scrive ha avuto l’opportunità di visitare tutto il Caucaso, a cominciare dall’Armenia, nella quale sono stato fortemente impressionato dallo storico cimitero del genocidio operato dai turchi……………. continua …………….

VENDEMMIA 2021: PIU’ OMBRE CHE LUCI
Secondo la consuetudine il Direttore generale dell’OIV Pau Roca ha reso pubbliche le previsioni produttive mondiali della vendemmia del 2021,annata climaticamente favorevole nell’emisfero sud e abbastanza negativa nell’emisfero nord, in particolare nell’Unione Europea che è stata attraversata dalle gelate primaverili e poi dalla siccità estiva, proprio nelle fasi fenologiche più sensibili (es. invaiatura). ………

ALLA GUERRA DEL VINO CON MARCORA
Un giorno l’amico Ernesto Vigevani portò il Sen. Giovanni Marcora ad Ancarano (PC) allo scopo di visitare il vigneto sperimentale e la cantina. Al termine Marcora mi invitò a visitare la sua azienda agricola a Bedonia (PR), durante la quale mi chiese il progetto di un piccolo vigneto familiare. Amava il buon vino e degustarlo in famiglia o in compagnia del coro di detto paese. Aveva una bella voce baritonale…………

LA STORIA DELL’ARCHITETTURA VITICOLA
I paesaggi possono essere naturali o creati dall’uomo. Molte zone viticole compongono bellissimi paesaggi, realizzati dal neolitico ad oggi.
Da Noè, primo piantatore di vigna secondo la Genesi ( circa 10.000 a.C.) al neolitico (6000 a.C.) la Vitis vinifera ha vissuto sulle piante dei boschi……….

LA MADRE TERRA E I VINI DEI GENIUS LOCI
San Francesco è il primo a denominare Madre la Terra, ripresa recentemente da Papa Francesco nella sua Laudato Si.
Ecuador e Bolivia hanno messo nella loro Costituzione norme di protezione ………

QUO VADIS, MALVASIA DI CANDIA? MARIO FREGONI DOCET
La Dr.sa Stavroula Kourakou di Atene ha una produttività letteraria impareggiabile. Ha dato alle stampe l’ennesimo libro di carattere vitivinicolo relativo al suo amato Paese, la Grecia, dal titolo Malvasia………

I VITICOLTORI DEL FRANCO DI PIEDE SI ASSOCIANO PER OTTENERE  UNA  MENZIONE EUROPEA E L’ISCRIZIONE UNESCO
Lanciata da un pugno di viticoltori europei, l’associazione embrionaria in oggetto ha per fine la protezione dei vitigni non innestati coltivati  nei loro luoghi di origine.
Questo obiettivo é stato presentato dal viticoltore Loïc Pasquet e già gode di sostegni politici di peso. Riuniti il 10 giugno  scorso nel principato di Monaco, dove il principe Alberto II ha portato il  suo saluto, nove viticoltori e i loro consulenti ,venuti da Germania, Francia,  ( Bordeaux, Beaujolais, Bourgogne, Champagne, Valle del Rodano), Georgia,  Grecia, Italia, hanno espresso la volontà di fondare un’associazione europea dei vini prodotti da ceppi franchi dipiede.
Si prevede l’approvazione dello statuto durante la presente estate e dopo la formalizzazione del collettivo si inoltrerå la richiesta per un’etichettatura  europea “ franco di piede” e per l’iscrizione al patrimonio immateriale  dell’UNESCO di una conoscenza poggiante sulle radici di origine  della vite da vino ( ossia della Vitis silvestris e della sua discendente Vitis  vinifera).
La menzione “franco di piede” in etichetta attesta che i vini  sono stati prodotti da viti franche di piede nei terroirs che hanno dato  la nascita delle varietà ivi coltivate. Così si esprime uno dei primi documenti di lavoro sortiti a Montecarlo.
L’idea non ė quella di etichettare  dei franchi di piede di Merlot fuori dalla sua zona di origine o di  Pinot nero in Italia, aggiunge L.Pasquet, creatore del Liber Pater,il vino piú caro del  mondo, venduto a 30.000 euro alla bottiglia, e promotore di questo  progetto associativo, di cui ē candidato alla presidenza.
Mantenendo le  sue posizioni contro la logica della tipicitá dei vini di vitigno ( di cui si  fa largo uso in Italia,a scapito dell’origine geografica),Loïc Pasquet  difende la sua visione di una viticoltura ancorata nella storia del suo  terroir. Per il viticoltore bordolese si tratta di arrestare la “zuppa varietale”  costituita dai vitigni europei innestati sui portinnesti americani, responsabile dell’industrializzazione e della standardizzazione  del gusto del vino, contrapponendo l’impianto di varietà europee franche  di piede, ridando apertura a una visione culturale dell’espressione del  luogo di origine.
Bisognerà  chiedere l’approvazione di una legislazione europea che definisca e autorizzi i vigneti franchi di piede, annullando i divieti e le  restrizioni esistenti ( es.in Germania e in Georgia).
L’appoggio politico é stato confermato dall’ambasciatore personale  del Presidente della Repubblica francese, Guillaume Gomez, presente  a Monaco.
Le degustazioni comparative di Monaco dei vini franchi di piede e innestati hanno confermato quanto scritto da Jacky Rigaux sulla superiorità qualitativa dei franchi di piede, paragonati a una Ferrari, mentre i vini da viti innestate sono stati assimilati a una macchina a due cavalli.
Una significativa analoga degustazione comparativa era stata organizzata nel 2020 nella cantina Liber Pater nel bordolese.
Riguardo alle osservazioni sui vigneti franchi di piede si ē rilevato che  essi hanno fasi fenologiche ( germogliamento, fioritura, allegagione,  maturazione) più concentrate in un periodo limitato e che si verifica  più o meno alla stessa epoca nelle diverse annate. Nelle annate siccitose  non si é verificato l’arresto della maturazione ( dato che la Vitis vinifera  é molto resistente alla siccità).
L’acidità dei vini franchi di piede é superiore  a quella degli innestati. In effetti la Vitis vinifera franca di piede sarà  una soluzione per i cambiamenti climatici, specie nelle zone non irrigue.
Nel programma dell’associazione verrà inserita la ricerca di nuove piste  per proteggere la vite dalla fillossera.
Il progetto della nuova associazione viene considerato elitista e la  menzione in etichetta di “franco di piede ”inquieta coloro che l’hanno  utilizzata senza fondamento ( es. nelle Graves di Bordeaux).
Va rilevato che la lodevole iniziativa di Monaco é stata anticipata nel 1999  da uno studio di M.Fregoni sulla viticoltura Cilena, con 200.000 ettari di  vigneti franchi di piede, terminato con una presentazione a Santiago del Cile al termine della quale si é proposta l’iscrizione della viticoltura cilena al patrimonio culturale dell’UNESCO. Questa proposta é stata reiterata  nella nostra prefazione di un libro del 2015 pubblicato dalla Biblioteca  Naciional del Cile intitolato Patrimonio vitivinicola.
Nel mondo sono numerosi i Paesi che coltivano la vite franca di piede  ( con in testa la Cina, con 800.000 ettari vitati) e che potrebbero usufruire  dei risultati dell’associazione europea.
La stessa Italia possiede circa 500 ettari di vigneti franchi di piede  e nessuno può vietare di porre nelle informazioni della controetichetta  “ da franco di piede”.
Mario Fregoni
Presidente onorario dell’OIV
BIBLIOGRAFIA
BIBLIOTECA NACIONAL DO CHILE ( 2015)- Patrimonio vitivinicola.
FREGONI M.( 2000) – La viticoltura e l’enologia del Cile.Città del vino.
VITISPHÈRE ( 2021) – Les vignes francs-de-pied sassocient pour un label europèen et un classement UNESCO- 11/6/2021.

TRATTO DA

I VINI DA INVESTIMENTO
Solo un piccolo numero di amatori conosce il mercato internazionale dei vini di lusso, acquistati perchè fanno immagine più che per la soddisfazione di degustare vini sensorialmente raffinati, dal gusto di terroir d’origine.
L’occasione per affrontare una riflessione sull’argomento è venuta dall’uscita del libro di Jacky Rigaux dal titolo: “ Le monde du vin aujourd’hui”, edito da Terre en Vues (2020), Clémency ( F).L’autore è il più grande esperto di vini cru che, assieme a quelli “parkerizzati” vanno soggetti a fenomeni speculativi. Nei Paesi privi di tradizione sull’origine dei vini (America in primis) sono considerati di classe quelli che, secondo un giudizio monocratico introdotto da Parker, all’assaggio superano i 95 punti su 100.
Queste due categorie di vini attraggono i fondi di investimento internazionali. E così vini di terre sconosciute, tecnologici, frutto di “winemakers”, contendono il mercato ai vini di terroir delle zone
celebri da secoli.
Il mercato con il deposito più grande di vini da investimento attualmente è quello di Hong Kong, rifornito da centinaia di importatori. Un tempo era solamente Londra la capitale dei vini da investimento, che si basava essenzialmente sui crus di Bordeaux. Gli acquisti più diffusi riguardavano i vini giovani, che venivano invecchiati nelle “banche dei vini” e successivamente venduti alle aste, ai ristoranti, ecc. Da tempo vengono acquistati anche i vini della Bourgogne, in particolare i “Grands crus”, tra i quali gli storici Romanée Contí, Leroy e una decina di altri crus e climats. I prezzi all’azienda sono variabili, ma in genere sono molto
elevati. Il Liber Pater delle Graves di Bordeaux, franco di piede, è stato comprato a 300.000 euro la bottiglia.
Fra i vini italiani da investimento si annoverano oltre ai SuperTuscan (in quota Parker) anche alcuni storici cru del Barolo, del Brunello di Montalcino e dell’Amarone della Valpolivella, nonché di alcuni altri nomi storici. Queste preferenze si riflettono sui prezzi
dei vigneti che, per questi vini, variano da 500.000 a 5 milioni ad ettaro (per piccole particelle). Conosciamo personalmente un funzionario bancario di Londra, ora a New York, che ha una piccola banca di vini a Londra, costituita da rinomati vini toscani.
Il mercato londinese e americano è attualmente affiancato da quello asiatico (Hong Kong, Cina, Giappone, Corea) nonché da quello russo.
I nuovi ricchi del mondo a pranzo o a cena non esitano a mescolare un Romanée Contí con un Petrus, uno Chateaux Margaux con la vodka, con il ghiaccio, l’acqua minerale, ecc. I clienti dei vini icona sono spesso dei bevitori di etichette.
In genere al gusto dei vini di terroir, che si valuta in bocca, si sostituisce l’aroma che si apprezza al naso e nel retrobocca, frutto del vitigno o dei lieviti selezionati o del legno o delle altre tecnologie di cantina. Anche la tecnica viticola “convenzionale” conduce a vini uniformi al gusto, dominati dagli aromi. Si dimentica che il vino deve essere già presente nelle bacche.
Il mercato dei vini icona viene spesso alla ribalta per gli scandali delle frodi perpetrate con l’invecchiamento artificiale delle etichette (es. con il caffè) e dei tappi, con il cambio delle bottiglie, o con il taglio delle annate o delle diverse provenienze dei vini, dei vitigni e così via. Si sono venduti vini di annate nelle quali il viticoltore era scomparso o aveva smesso la produzione.
Persino l’FBI ha condotto un’indagine sul proprietario di una sontuosa villa californiana, trafficante di vini da investimento, denominato “Dottor Contì”. Molti processi sono stati celebrati contro miliardari di questo mercato dei vini da investimento e contro falsi collezionisti di vini icona, sprovvisti di cultura enoica e sensoriale, che non possono riconoscere le origini e le annate.
Il mercato dei vini da investimento ha ,comunque, il merito di far conoscere nel mondo i grandi vini naturali e di terroir storici, ma gli attori di questo mercato sono spesso privi di esperienza e non tengono conto che la scienza può oggi determinare l’origine geografica dei vini e delle annate e può disegnare il profilo sensoriale caratterizzante i crus e le loro annate di produzione.
La giustizia deve tuttavia vigilare affinché venga dato a Cesare quello che è di Cesare.
Mario Fregoni
Presidente onorario dell’OIV
(tratto da L’Assaggiatore,20,2021)

LA NUTRIZIONE NELLA VITICOLTURA BIOLOGICA

Sino al 1850 circa, il fertilizzante in assoluto e pressochè unico era il letame, dal quale per fermentazione biologica deriva l’humus. Nel passato era normale pensare che le piante si nutrissero di humus. Accanto a questa scuola di humisti nacque quella mineralista ad opera di Justus von Liebig (1803-1873) che in Germania dimostrò come le piante si nutrono di elementi minerali, derivanti dal terreno o dall’humus, previa mineralizzazione di quest’ultimo ad opera di batteri, lieviti, funghi e animali (lombrichi, ecc.). Le ricerche di Liebig avvennero in assenza di humus, coltivando le piante con una soluzione minerale, ossia in idroponica su substrato inerte. Lo sviluppo dell’industria ha pesato non poco sulle prove di Liebig. In realtà la pianta assorbe sia elementi minerali (una quindicina di macro e microelementi secondo Liebig, ma oggi sono molti di più) che molecole organiche (aminoacidi, peptidi, proteine, ormoni, biostimolanti in genere). Ancora molti viticoltori che non usano concimi chimici si illudono che sia l’humus o la sostanza organica a nutrire le loro viti, ma altrettanto si illudono coloro che usano solo concimi minerali, per via radicale o
fogliare, pensando che la nutrizione avvenga dai soli minerali. È dimostrato anche che la coltivazione della vite in idroponica fornisce vini di sapore vegetale e privi di aromi. Altrettanto le uve da tavola coltivate in serra sono di qualità modestissima, utilizzabili come uve da apparato, sul centro tavola, come avveniva un tempo in Olanda. Una viticoltura di qualità senza l’apporto organico e biologico é impossibile. Sono le molecole dell’humus a creare le condizioni fisico-chimiche del terreno favorevoli all’assorbimento degli elementi minerali. Piú esattamente é la struttura glomerulare del suolo che favorisce l’assorbimento radicale
dei minerali e delle molecole organiche, in quanto impedisce la compattazione, favorisce l’aerazione, l’espansione radiale e in profondità dell’apparato radicale. La struttura glomerulare è frutto di ricerche del
pedologo russo Vasilij V.Dokūcaev (1846-1903). Ogni glomerulo è costituito da un ponte a triangolo avente come pilastri i colloidi argillosi, il calcio ed i colloidi humici, fra loro connessi da legami chimici. Il genius loci di un vigneto dipende dai fattori sopraelencati nonché dal micro e macrobioma del suolo. Questi si possono valutare a peso per ettaro e come composizione. Inoltre, la stragrande maggioranza di questi organismi viventi si trova proprio nel suolo e da essi dipende l’espressione del vino di terroir. All’espansione dell’agricoltura industriale si oppose un altro tedesco, ossia Rudolf Steiner (1861-1825), ideatore della biodinamica e valorizzatore della biologia del suolo. Per una serie di principi agronomici e microbiologici occorre dotare o conservare un certo contenuto di sostanza organica e humica nel suolo, matrici della vita della microflora e della microfauna. L’optimum di sostanza organica si colloca sopra il 2,5% , ma un’indagine dello scrivente effettuata su ben 5000 vigneti di tutta Italia ha dimostrato che la maggioranza dei suoli vitati non raggiunge l’1%. Fanno eccezione alcune zone fredde o di montagna aventi un’ossidazione biologica lenta. Risulta evidente che necessita restituire la sostanza organica all’impianto (un tempo si consigliavano circa 800 q. ad ettaro di letame) e ogni tre anni circa durante la vita del vigneto (dose di riferimento 300 q/ha). Ma il letame è diventato una chimera, anche dove si concentrano gli allevamenti bovini, nei quali non si usa la paglia o gli stocchi di mais. Un tempo il letame godeva di cure particolari durante la maturazione, di almeno 6 mesi, persino con la stratificazione alternata con terra per ottenere le composte e non disperdere i principi nutritivi a causa delle piogge. Oggi il letame costa molto, è introvabile e soggetto a leggi particolari per il trasporto in altre zone. Il ricorso al ricupero di materiali vegetali fornitori di sostanza organica é così d’obbligo. Anzitutto trinciando e sotterrando i sarmenti della potatura invernale, nonchè i residui della potatura verde, adottando l’inerbimento e il sovescio nell’interfilare, seminando miscugli di cereali e di crucifère per ottenere humus stabile oppure di leguminose per avere humus labile. L’erba infestante sottofila, la piú onerosa come eliminazione, ha oggi una prospettiva nello schiumone ad alta temperatura, ideato da un’industria piacentina, a base di estratti vegetali facilmente biodegradabili e che rilasciano sostanza organica. Utilissmo è l’humus ottenuto dalla compostazione, antica pratica agronomica, di residui del vigneto e del bosco, debitamente attivati con culture batteriche, di lieviti e fungine. Dalla sostanza organica così ricuperata dal vigneto può derivare una quantità di humus pari a quella annualmente mineralizzata biologicamente o perduta per ossidazione ed una quantità di elementi minerali pari ai consumi del vigneto, tenendo presente che la vite é una pianta poco esigente sotto il profilo minerale. In terreni squilibrati strutturalmente o per il pH acido o alcalino, possono verificarsi carenze minerali, che si evidenziano dai sintomi fogliari o con la diagnostica fogliare. In questi casi si può ricorrere a biostimolanti fogliari o radicali. La nutrizione minerale è dunque corretta quando esiste un equilibrio fra l’humus e la vita biologica, ma anche quando l’apparato radicale (portinnesto) si adatta bene al terreno e alla varietà di Vitis Vinifera. In merito si rammenta che le radici delle viti franche di piede (ancora diffuse su circa 2 milioni di ettari nel mondo e su quasi 500 in Sardegna) sono fra le più resistenti alla clorosi ferrica da calcare e alle altre carenze minerali e idriche.
La nutrizione corretta della vite va ottenuta anche con una strategia geografica piú ampia della singola azienda. Infatti, molte zone viticole con vini eccellenti si concentrano in aree ristrette, con la presenza del
solo vigneto in coltura pura o meglio in monocoltura, spesso associata al monovitigno e al monoclone. É evidente che la diffusione dei parassiti é facilitata in simili situazioni rispetto alla vecchia viticoltura promiscua
e nei confronti delle zone nelle quali i vigneti sono alternati o accerchiati o in vicinanza di zone boschive, a biodiversità molto complessa, come specie vegetali o come microbiologia dei suoli. Nei casi di monocoltura viticola sarebbero consigliabili cinture vegetali di attraversamento e di collegamento tra il vigneto e il bosco, nonché tra la pianura e il vigneto. In Champagne si stanno piantando migliaia di alberi nei vigneti in monocoltura. Per quanto concerne i fondivalle e le pianure, i cui vigneti  spesso subiscono trattamenti antiparassitari doppi rispetto alla collina della stessa area geografica, bisogna creare i collegamenti tra il vigneto e le zone vicine a colture erbacee, evitando anche per queste le monocolture ripetute per anni e reintroducendo le rotazioni fra specie miglioratrici della fertilità (leguminose, prati) e specie dissipatrici della fertilità (cereali). Nell’agricoltura antica si applicava il debbio e il riposo per distruggere i funghi, i batteri e le tossine della coltura precedente. Non é il caso di ritornare alle vecchie agricolture biologiche ma è doveroso richiamare alle Regioni che gli equilibri dell’agricoltura biologica su vasta scala si ottengono programmando e integrando il bosco, la collina vitata e la pianura. Una sperimentazione a lunga gittata sarebbe giustificabile e sostenibile anche dalle associazioni che in agricoltura perseguono il biologico, il biodinamico e il naturale.
Mario Fregoni
Presidente onorario dell’OIV

COME DIVENTANO COLTIVABILI LE NUOVE VARIETA’
L’Italia possiede il piú grande patrimonio varietale del mondo, rappresentato da circa  3000 genotipi ( non esiste un elenco), di cui solo 515 sono coltivabili perchē iscrittti nell’elenco del  Registro Nazionale delle Varietà.  
Ogni anno vengono iscritte,  e quindi ammissibili alla coltivazione, nuove varietà derivanti dal miglioramento genetico, contemplante la selezione delle mutazioni genetiche naturali, gli incroci intraspecifici ( tra varietà di Vitis vinifera) e gli ibridi interspecifici (es.  fra Vitis vinifera e/o Vitis americane o asiatiche).  
Per divenire coltivabili le nuove varietà devono seguire una procedura di riconoscimento e di iscrizione al Registro Nazionale delle Varietà, tenuto dal MIPAAF, indi nell’elenco dell’Unione   Europea e infine in quelli Regionali.
La Regione é pertanto l’ultima, ma importante, responsabile della lista delle varietà coltivabili nel proprio territorio.
Negli ultimi anni sono diventate di moda le cosiddette “ varietà resistenti”,  ossia gli ibridi interspecifici, sopra definiti correttamente.  Praticamente non esistono varietà ideali resistenti ai parassiti, in quanto anche gli ibridi non sono totalmente resistenti alla peronospora, all’oidio e alla >> fillossera. Riguardo a queste nuove varietà si sono notati tempi di iscrizione diversi da quelli francesi e una mancanza di dati produttivi e qualitativi preventivi, per cui grazie alla collaborazione del Prof.  Jean-Michel Boursiquot di Montpellier e di M. me Christine Mouilliet,  segretaria del Consiglio Scientifico Tecnico francese, siamo in grado di presentare qui un raffronto tra la procedura d’iscrizione francese e quella italiana.
IL REGOLAMENTO FRANCESE
E’ stato redatto dal Consiglio Scientifico Tecnico, composto da ricercatori e da esperti vitivinicoli di tutta la Francia, responsabile dello svolgimento delle prove e dei documenti di ammissione della varietà al Catalogo Nazionale.  Secondo il regolamento il primo esame di una nuova varietà riguarda la verifica dell’esistenza di tre caratteri: Distinto, Omogeneo, Stabile (DOS).
Viene effettuato dall’INRA ( Istituto Nazionale Ricerca Agronomica), corrispondente al CREA italiano.  Il DOS viene verificato su almeno 10 ceppi e durante un minimo di 2 anni produttivi, il che esclude i cicli improduttivi dei primi anni della varietà. In questa prima fase si applicano metodi di analisi del DNA e metodi ampelografici.
Se supera questo traguardo la nuova varietà viene sottoposta alla sperimentazione in campo su almeno due vigneti in zone rappresentative del bacino viticolo ( es. Regione, provincia). La varietà in esame deve avere,  in entrambi i vigneti, almeno tre ripetizioni, che valgono anche per la varietà testimone, tipica della zona. La nuova varietà deve essere rappresentata da un minimo di 90 ceppi. Su questi vigneti si svolgono le osservazioni previste da una scheda ampelografica ( vedasi più avanti) e devono durare almeno tre cicli produttivi, quindi con esclusione dei primi anni improduttivi e non significativi.
Il terzo livello sperimentale viene stabilito dal Consiglio del bacino viticolo e dal CST. Nella riunione dei due organi si decide se la varietà é degna di una “classificazione temporanea” e si concede la prova per un massimo di 20 ettari per ogni bacino viticolo e il massimo di 1 ettaro per ogni azienda. Questa classificazione temporanea ha la durata massima di 15 anni ed i risultati vengono resi pubblici, unitamente al comportamento verso le malattie , la reazione ai pesticidi , le possibili influenze sulla biodiversità genetica e sul patrimonio viticolo.
Durante questi anni di sperimentazione si definisce altresì un altro parametro che non può mancare nel dossier della nuova varietà, ossia il VATE, Valore Agronomico Tecnologico Ambientale,  il cui giudizio ē formulato dal Consiglio Scientifico Tecnico.
Nella domanda di iscrizione della nuova varietà devono essere evidenziati il DOS e il VATE,  nonché le caratteristiche vegeto-produttive e qualitative,  più tutta una serie di caratteri previsti dalla scheda ampelografica qui annessa.
Dopo l’approvazione il nome della nuova varietà viene pubblicato sul Journal Officiel ( Gazzetta Ufficiale) , iscritta nell’elenco delle varietà e se si tratta di un ibrido interspecifico viene contrassegnato con un asterisco, per facilitare la scelta dei viticoltori ed evitare confusioni quando i nomi sono simili ai vitigni storici autoctoni.
TABELLA DELLE ATTITUDINI VARIETALI ( da allegare alla domanda di iscrizione della nuova varietà al Catalogo francese).
Varietà (nome) , Colore delle bacche.
Fenologia: epoca di germogliamento ed epoca di maturazione.
Attitudini colturali e agronomiche : grado di vigoria, portamento dei germogli, produzione per ceppo , grossezza e peso della bacca.
Attitudini tecnologiche: ricchezza in zuccheri, acidità totale, ecc.
Profilo organolettico dei vini: visivo ( gradazioni del colore , intensità colorante); olfattivo (aromi  e intensità aromatica); gustativo ( equilibrio,  persistenza, aromi dominanti, struttura tannica);
Altri caratteri. . . .
Varietā e ambiente: sensibilità agli stress biotici ( malattie, insetti, acari),  e abiotici ( alte e basse temperature, siccità, ecc). >>
LA PROCEDURA DI ISCRIZIONE ITALIANA DELLE NUOVE VARIETÀ’.
Non sono previsti i diversi livelli di valutazione francesi, ma nella domanda di iscrizione della nuova varietà si richiedono i seguenti dati:
Costitutore, metodo di ottenimento, parentale femminile e maschile,  il nome del responsabile della conservazione dei materiali di propagazione, l’impegno a fornire al CREA-vite di Conegliano le marze sufficienti a ottenere 10 barbatelle, se si tratta di uva da vino, da tavola o portinnesto, i dati anagrafici del richiedente l’iscrizione, la documentazione dei diritti acquisiti, le foto dei vari organi vegetativi e
>> produttivi, l’analisi del DNA effettuati dal CREA di Conegliano, l’assicurazione dell’invio del materiale al campo catalogo,  informazioni aggiuntive.
Alla domanda va allegata la seguente scheda ampelografica:
clima e suolo dei vigneti di prova; il numero delle piante utilizzato, il sesto d’impianto, la forma di allevamento, la varietà testimone, lo stato sanitario delle piante in osservazione ( virus, ecc. ), la illustrazione dei caratteri minimi ampelografici previsti dall’OIV, le caratteristiche produttive( fertilità delle gemme, produzione a ceppo, numero di grappoli per ceppo alla vendemmia, peso medio del grappolo, peso medio dell’acino, peso del legno di risulta della potatura invernale); caratteri enologici ( alcol, acidità, pH, acido tartarico, acido malico, analisi sensoriali);
resistenze ( alle avversità ambientali, agli organismi nocivi); comportamento all’innesto.  Bibliografia.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
Le differenze procedurali e concettuali fra Francia e Italia sono talmente evidenti che non varrebbe la pena sottolinearne gli aspetti essenziali.
Di fatto certe mancanze favoriscono iscrizioni veloci e alla fine pagano i viticoltori attratti dalle novità, che non conoscono.
Per citare alcuni esempi si segnala che in Francia esiste un Consiglio Scientifico Tecnico responsabile della sperimentazione, dei dati raccolti e della completezza del dossier varietale. Vi sono due valutazioni essenziali del processo di riconoscimento varietale: il DOS ( Distinto,  Omogeneo, Stabile) e il VATE ( Valore Agronomico, Tecnologico e Ambientale), che sono accertate da organismi scientifici pubblici:
INRA e CST. I privati danno solo l’ospitalità alle sperimentazioni di campo, che si svolgono in tempi molto lunghi (oltre il decennio),  sempre sotto l’egida del CST.
Al contrario la procedura italiana é imprecisa nella durata , nelle valutazioni tipo VATE,  condotta prevalentemente dai privati e dai costitutori, ovviamente interessati. Durata e metodi delle sperimentazioni sono lasciate al settore privato ed i risultati emergono dalle prove dopo l’iscrizione al Registro Nazionale delle Varietà, per lo piú realizzate da ricercatori volontari.
Non vi ē dubbio  che l’Italia e l’UE dovrebbero riflettere su questi aspetti,  fondamentali per il futuro della viticoltura, poiché creano concorrenza fra innovazioni immeritevoli e varietà autoctone presenti nei disciplinari delle nostre DOP, trainanti per la nostra esportazione. Inoltre la dimostrazione della qualità dei vini degli ibridi produttori é tutt’altro che una realtà acquisita. Le varietà di Vitis vinifera hanno una finezza enologica che emerge facilmente all’analisi sensoriale comparata.
Mario Fregoni
Presidente onorario dell’OIV
.………per saperne di più….. https://www.aspera.online/2021/03/27/352/

L’Italia possiede il piú grande patrimonio varietale del mondo, rappresentato da circa  3000 genotipi ( non esiste un elenco), di cui solo 515 sono coltivabili perchē iscrittti nell’elenco del  Registro Nazionale delle Varietà.  
Ogni anno vengono iscritte,  e quindi ammissibili alla coltivazione, nuove varietà derivanti dal miglioramento genetico, contemplante la selezione delle mutazioni genetiche naturali, gli incroci intraspecifici ( tra varietà di Vitis vinifera) e gli ibridi interspecifici (es.  fra Vitis vinifera e/o Vitis americane o asiatiche).  
Per divenire coltivabili le nuove varietà devono seguire una procedura di ricoscimento e di iscrizione al Registro Nazionale delle Varietà, tenuto dal MIPAAF, indi nell’elenco dell’Unione   Europea e infine in quelli Regionali.
La Regione é pertanto l’ultima, ma importante, responsabile della lista delle varietà coltivabili nel proprio territorio.
Negli ultimi anni sono diventate di moda le cosiddette “ varietà resistenti”,  ossia gli ibridi interspecifici, sopra definiti correttamente.  Praticamente non esistono varietà ideali resistenti ai parassiti, in quanto anche gli ibridi non sono totalmente resistenti alla peronospora, all’oidio e alla >> fillossera. Riguardo a queste nuove varietà si sono notati tempi di iscrizione diversi da quelli francesi e una mancanza di dati produttivi e qualitativi preventivi, per cui grazie alla collaborazione del Prof.  Jean-Michel Boursiquot di Montpellier e di M. me Christine Mouilliet,  segretaria del Consiglio Scientifico Tecnico francese, siamo in grado di presentare qui un raffronto tra la procedura d’iscrizione francese e quella italiana.
IL REGOLAMENTO FRANCESE
E’ stato redatto dal Consiglio Scientifico Tecnico, composto da ricercatori e da esperti vitivinicoli di tutta la Francia, responsabile dello svolgimento delle prove e dei documenti di ammissione della varietā al Catalogo Nazionale.  Secondo il regolamento il primo esame di una nuova varietà riguarda la verifica dell’esistenza di tre caratteri: Distinto, Omogeneo, Stabile (DOS).
Viene effettuato dall’INRA ( Istituto Nazionale Ricerca Agronomica), corrispondente al CREA italiano.  Il DOS viene verificato su almeno 10 ceppi e durante un minimo di 2 anni produttivi, il che esclude i cicli improduttivi dei primi anni della varietà. In questa prima fase si applicano metodi di analisi del DNA e metodi ampelografici.
Se supera questo traguardo la nuova varietà viene sottoposta alla sperimentazione in campo su almeno due vigneti in zone rappresentative del bacino viticolo ( es. Regione, provincia). La varietà in esame deve avere,  in entrambi i vigneti, almeno tre ripetizioni, che valgono anche per la varietà testimone, tipica della zona. La nuova varietà deve essere rappresentata da un minimo di 90 ceppi. Su questi vigneti si svolgono le osservazioni previste da una scheda ampelografica ( vedasi piú avanti) e devono durare almeno tre cicli produttivi, quindi con esclusione dei primi anni improduttivi e non significativi.
Il terzo livello sperimentale viene stabilito dal Consiglio del bacino viticolo e dal CST. Nella riunione dei due organi si decide se la varietà é degna di una “classificazione temporanea” e si concede la prova per un massimo di 20 ettari per ogni bacino viticolo e il massimo di 1 ettaro per ogni azienda. Questa classificazione temporanea ha la durata massima di 15 anni ed i risultati vengono resi pubblici, unitamente al comportamento verso le malattie , la reazione ai pesticidi , le possibili influenze sulla biodiversitá genetica e sul patrimonio viticolo.
Durante questi anni di sperimentazione si definisce altresì un altro parametro che non può mancare nel dossier della nuova varietà, ossia il VATE, Valore Agronomico Tecnologico Ambientale,  il cui giudizio ē formulato dal Consiglio Scientifico Tecnico.
Nella domanda di iscrizione della nuova varietà devono essere evidenziati il DOS e il VATE,  nonché le caratteristiche vegeto-produttive e qualitative,  piú tutta una serie di caratteri previsti dalla scheda ampelografica qui annessa.
Dopo l’approvazione il nome della nuova varietà viene pubblicato sul Journal Officiel ( Gazzetta Ufficiale) , iscritta nell’elenco delle varietā e se si tratta di un ibrido interspecifico viene contrassegnato con un asterisco, per facilitare la scelta dei viticoltori ed evitare confusioni quando i nomi sono simili ai vitigni storici autoctoni.
TABELLA DELLE ATTITUDINI VARIETALI ( da allegare alla domanda di iscrizione della nuova varietā al Catalogo francese).
Varietà (nome) , Colore delle bacche.
Fenologia: epoca di germogliamento ed epoca di maturazione.
Attitudini colturali e agronomiche : grado di vigoria, portamento dei germogli, produzione per ceppo , grossezza e peso della bacca.
Attitudini tecnologiche: ricchezza in zuccheri, aciditá totale, ecc.
Profilo organolettico dei vini: visivo ( gradazioni del colore , intensitá colorante); olfattivo (aromi  e intensitá aromatica); gustativo ( equilibrio,  persistenza, aromi dominanti, struttura tannica);
Altri caratteri. . . .
Varietā e ambiente:sensibilitā agli stress biotici ( malattie, insetti, acari),  e abiotici ( alte e basse temperature, siccitá, ecc). >>
LA PROCEDURA DI ISCRIZIONE ITALIANA DELLE NUOVE VARIETÀ’.
Non sono previsti i diversi livelli di valutazione francesi, ma nella domanda di iscrizione della nuova varietà si richiedono i seguenti dati:
Costitutore, metodo di ottenimento, parentale femminile e maschile,  il nome del responsabile della conservazione dei materiali di propagazione, l’impegno a fornire al CREA-vite di Conegliano le marze sufficienti a ottenere 10 barbatelle, se si tratta di uva da vino, da tavola o portinnesto, i dati anagrafici del richiedente l’iscrizione, la documentazione dei diritti acquisiti, le foto dei vari organi vegetativi e
>> produttivi, l’analisi del DNA effettuati dal CREA di Conegliano, l’assicurazione dell’invio del materiale al campo catalogo,  informazioni aggiuntive.
Alla domanda va allegata la seguente scheda ampelografica:
clima e suolo dei vigneti di prova; il numero delle piante utilizzato, il sesto d’impianto, la forma di allevamento, la varietà testimone, lo stato sanitario delle piante in osservazione ( virus, ecc. ), la illustrazione dei caratteri minimi ampelografici previsti dall’OIV, le caratteristiche produttive( fertilitā delle gemme, produzione a ceppo, numero di grappoli per ceppo alla vendemmia, peso medio del grappolo, peso medio dell’acino, peso del legno di risulta della potatura invernale); caratteri enologici ( alcol, aciditā, pH, acido tartarico, acido malico, analisi sensoriali);
resistenze ( alle avversitá ambientali, agli organismi nocivi); comportamento all’innesto.  Bibliografia.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
Le differenze procedurali e concettuali fra Francia e Italia sono talmente evidenti che non varrebbe la pena sottolinearne gli aspetti essenziali.
Di fatto certe mancanze favoriscono iscrizioni veloci e alla fine pagano i viticoltori attratti dalle novitá, che non conoscono.
Per citare alcuni esempi si segnala che in Francia esiste un Consiglio Scientifico Tecnico responsabile della sperimentazione, dei dati raccolti e della completezza del dossier varietale. Vi sono due valutazioni essenziali del processo di riconoscimento varietale: il DOS ( Distinto,  Omogeneo, Stabile) e il VATE ( Valore Agronomico, Tecnologico e Ambientale), che sono accertate da organismi scientifici pubblici:
INRA e CST. I privati danno solo l’ospitalitá alle sperimentazioni di campo, che si svolgono in tempi molto lunghi (oltre il decennio),  sempre sotto l’egida del CST.
Al contrario la procedura italiana é imprecisa nella durata , nelle valutazioni tipo VATE,  condotta prevalentemente dai privati e dai costitutori, ovviamente interessati. Durata e metodi delle sperimentazioni sono lasciate al settore privato ed i risultati emergono dalle prove dopo l’iscrizione al Registro Nazionale delle Varietā, per lo piú realizzate da ricercatori volontari.
Non vi ē dubbio  che l’Italia e l’UE dovrebbero riflettere su questi aspetti,  fondamentali per il futuro della viticoltura, poichē creano concorrenza fra innovazioni immeritevoli e varietà autoctone presenti nei disciplinari delle nostre DOP, trainanti per la nostra esportazione. Inoltre la dimostrazione della qualitá dei vini degli ibridi produttori é tutt’altro che una realtā acquisita. Le varietà di Vitis vinifera hanno una finezza enologica che emerge facilmente all’analisi sensoriale comparata.
Mario Fregoni
Presidente onorario dell’OIV

COME DIVENTANO COLTIVABILI LE NUOVE VARIETA’
L’Italia possiede il piú grande patrimonio varietale del mondo,rappresentato da circa  3000 genotipi ( non esiste un elenco),di cui solo 515 sono coltivabili perchē iscrittti nell’elenco del  Registro Nazionale delle Varietá.
Ogni anno vengono iscritte, e quindi ammissibili alla coltivazione,nuove varietá derivanti dal miglioramento genetico,contemplante la selezione delle mutazioni genetiche naturali,gli incroci intraspecifici ( tra varietá di Vitis vinifera) e gli ibridi interspecifici (es. fra Vitis vinifera e/o Vitis americane o asiatiche).
Per divenire coltivabili le nuove varietá devono seguire una procedura di ricoscimento e di iscrizione al Registro Nazionale delle Varietá,tenuto dal MIPAAF,indi nell’elenco dell’Unione   Europea e infine in quelli Regionali.
La Regione é pertanto l’ultima,ma importante,responsabile della lista delle varietá coltivabili nel proprio territorio.
Negli ultimi anni sono diventate di moda le cosiddette “ varietá resistenti”, ossia gli ibridi interspecifici,sopra definiti correttamente. Praticamente non esistono varietá ideali resistenti ai parassiti,in quanto anche gli ibridi non sono totalmente resistenti alla peronospora,all’oidio e alla >> fillossera.Riguardo a queste nuove varietá si sono notati tempi di iscrizione diversi da quelli francesi e una mancanza di dati produttivi e qualitativi preventivi,per cui grazie alla collaborazione del Prof. Jean-Michel Boursiquot di Montpellier e di M.me Christine Mouilliet, segretaria del Consiglio Scientifico Tecnico francese,siamo in grado di presentare qui un raffronto tra la procedura d’iscrizione francese e quella italiana.
IL REGOLAMENTO FRANCESE
E’ stato redatto dal Consiglio Scientifico Tecnico,composto da ricercatori e da esperti vitivinicoli di tutta la Francia,responsabile dello svolgimento delle prove e dei documenti di ammissione della varietā al Catalogo Nazionale. Secondo il regolamento il primo esame di una nuova varietá riguarda la verifica dell’esistenza di tre caratteri: Distinto,Omogeneo,Stabile (DOS).
Viene effettuato dall’INRA ( Istituto Nazionale Ricerca Agronomica),corrispondente al CREA italiano. Il DOS viene verificato su almeno 10 ceppi e durante un minimo di 2 anni produttivi,il che esclude i cicli improduttivi dei primi anni della varietá.In questa prima fase si applicano metodi di analisi del DNA e metodi ampelografici.
Se supera questo traguardo la nuova varietá viene sottoposta alla sperimentazione in campo su almeno due vigneti in zone rappresentative del bacino viticolo ( es.Regione,provincia).La varietá in esame deve avere, in entrambi i vigneti,almeno tre ripetizioni,che valgono anche per la varietá testimone,tipica della zona.La nuova varietá deve essere rappresentata da un minimo di 90 ceppi.Su questi vigneti si svolgono le osservazioni previste da una scheda ampelografica ( vedasi piú avanti) e devono durare almeno tre cicli produttivi,quindi con esclusione dei primi anni improduttivi e non significativi.
Il terzo livello sperimentale viene stabilito dal Consiglio del bacino viticolo e dal CST.Nella riunione dei due organi si decide se la varietá é degna di una “classificazione temporanea” e si concede la prova per un massimo di 20 ettari per ogni bacino viticolo e il massimo di 1 ettaro per ogni azienda.Questa classificazione temporanea ha la durata massima di 15 anni ed i risultati vengono resi pubblici,unitamente al comportamento verso le malattie ,la reazione ai pesticidi ,le possibili influenze sulla biodiversitá genetica e sul patrimonio viticolo.
Durante questi anni di sperimentazione si definisce altresì un altro parametro che non può mancare nel dossier della nuova varietá,ossia il VATE,Valore Agronomico Tecnologico Ambientale, il cui giudizio ē formulato dal Consiglio Scientifico Tecnico.
Nella domanda di iscrizione della nuova varietá devono essere evidenziati il DOS e il VATE, nonché le caratteristiche vegeto-produttive e qualitative, piú tutta una serie di caratteri previsti dalla scheda ampelografica qui annessa.
Dopo l’approvazione il nome della nuova varietá viene pubblicato sul Journal Officiel ( Gazzetta Ufficiale) ,iscritta nell’elenco delle varietā e se si tratta di un ibrido interspecifico viene contrassegnato con un asterisco,per facilitare la scelta dei viticoltori ed evitare confusioni quando i nomi sono simili ai vitigni storici autoctoni.
TABELLA DELLE ATTITUDINI VARIETALI ( da allegare alla domanda di iscrizione della nuova varietā al Catalogo francese).
Varietá (nome) ,Colore delle bacche.
Fenologia: epoca di germogliamento ed epoca di maturazione.
Attitudini colturali e agronomiche : grado di vigoria,portamento dei germogli,produzione per ceppo ,grossezza e peso della bacca.
Attitudini tecnologiche: ricchezza in zuccheri,aciditá totale,ecc.
Profilo organolettico dei vini: visivo ( gradazioni del colore ,intensitá colorante); olfattivo (aromi  e intensitá aromatica); gustativo ( equilibrio, persistenza,aromi dominanti,struttura tannica);
Altri caratteri….
Varietā e ambiente:sensibilitā agli stress biotici ( malattie,insetti,acari), e abiotici ( alte e basse temperature,siccitá,ecc).>>
LA PROCEDURA DI ISCRIZIONE ITALIANA DELLE NUOVE VARIETÁ’.
Non sono previsti i diversi livelli di valutazione francesi,ma nella domanda di iscrizione della nuova varietá si richiedono i seguenti dati:
Costitutore,metodo di ottenimento,parentale femminile e maschile, il nome del responsabile della conservazione dei materiali di propagazione,l’impegno a fornire al CREA-vite di Conegliano le marze sufficienti a ottenere 10 barbatelle,se si tratta di uva da vino,da tavola o portinnesto,i dati anagrafici del richiedente l’iscrizione,la documentazione dei diritti acquisiti,le foto dei vari organi vegetativi e
>> produttivi,l’analisi del DNA effettuati dal CREA di Conegliano,l’assicurazione dell’invio del materiale al campo catalogo, informazioni aggiuntive.
Alla domanda va allegata la seguente scheda ampelografica:
clima e suolo dei vigneti di prova; il numero delle piante utilizzato,il sesto d’impianto,la forma di allevamento,la varietá testimone,lo stato sanitario delle piante in osservazione ( virus,ecc.),la illustrazione dei caratteri minimi ampelografici previsti dall’OIV,le caratteristiche produttive( fertilitā delle gemme,produzione a ceppo,numero di grappoli per ceppo alla vendemmia,peso medio del grappolo,peso medio dell’acino,peso del legno di risulta della potatura invernale); caratteri enologici ( alcol,aciditā,pH,acido tartarico,acido malico,analisi sensoriali);
resistenze ( alle avversitá ambientali,agli organismi nocivi); comportamento all’innesto. Bibliografia.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.
Le differenze procedurali e concettuali fra Francia e Italia sono talmente evidenti che non varrebbe la pena sottolinearne gli aspetti essenziali.
Di fatto certe mancanze favoriscono iscrizioni veloci e alla fine pagano i viticoltori attratti dalle novitá,che non conoscono.
Per citare alcuni esempi si segnala che in Francia esiste un Consiglio Scientifico Tecnico responsabile della sperimentazione,dei dati raccolti e della completezza del dossier varietale.Vi sono due valutazioni essenziali del processo di riconoscimento varietale: il DOS ( Distinto, Omogeneo,Stabile) e il VATE ( Valore Agronomico,Tecnologico e Ambientale),che sono accertate da organismi scientifici pubblici:
INRA e CST.I privati danno solo l’ospitalitá alle sperimentazioni di campo,che si svolgono in tempi molto lunghi (oltre il decennio), sempre sotto l’egida del CST.
Al contrario la procedura italiana é imprecisa nella durata ,nelle valutazioni tipo VATE, condotta prevalentemente dai privati e dai costitutori,ovviamente interessati.Durata e metodi delle sperimentazioni sono lasciate al settore privato ed i risultati emergono dalle prove dopo l’iscrizione al Registro Nazionale delle Varietā,per lo piú realizzate da ricercatori volontari.
Non vi ē dubbio  che l’Italia e l’UE dovrebbero riflettere su questi aspetti, fondamentali per il futuro della viticoltura,poichē creano concorrenza fra innovazioni immeritevoli e varietá autoctone presenti nei disciplinari delle nostre DOP,trainanti per la nostra esportazione.Inoltre la dimostrazione della qualitá dei vini degli ibridi produttori é tutt’altro che una realtā acquisita.Le varietá di Vitis vinifera hanno una finezza enologica che emerge facilmente all’analisi sensoriale comparata.
Mario Fregoni
Presidente onorario dell’OIV

LA VITIS VINIFERA SULLE PROPRIE RADICI
(tratto da Sardegna Antica n.58.)
La vite franca di piede ha caratteristiche ampelografiche, fisiologiche e qualitative del vino, diverse dalla vite innestata su portinnesti americani.
La durata dei vigneti è molto maggiore per il franco di piede, le  virosi non si trasmettono, il Mal dell’Esca e la Flavescenza dorata  sono piú ridotte e soprattutto il vino è sempre distinguibile alla degustazione per la sua finezza. La vite franca di piede può vivere laddove la fillossera non produce le nodosità radicali, che portano il ceppo alla morte.
Volgendo lo sguardo nel mondo dalla letteratura si può …………..

IBRIDI PRODUTTORI COSIDDETTI RESISTENTI ALLE MALATTIE.
Le varietà resistenti sono ibridi interspecifici fra la Vitis Vinifera e le specie americane o asiatiche.
Dopo 200 anni di ibridazioni solo pochissimi ibridi sono rimasti nella viticoltura perché la loro resistenza non è assoluta e richiedono 2-3 trattamenti annuali antiperonosporici e antioidici. Non sono resistenti alla fillossera radicicola perché devono essere innestati sui portinnesti americani, a tutti noti.
Non sono resistenti nemmeno alla fillossera gallecola fogliare, contro la quale occorrono da 1 a 3 trattamenti insetticidi annuali, cimature e sfogliature. Questi attacchi possono colpire anche alcune varietà vicine, come il Sangiovese, la Croatina, la Malvasia, ecc.
La ragione principale dei loro insuccessi è però di tipo qualitativo, perché le uve sono ricche di pectine che generano alcol metilico, sono altresì ricche di antociani di glucosidi, che l’UE ha limitato a 15 ppm/L, mentre tanti vini ibridi hanno contenuti molto superiori, che eccezionalmente raggiungono i 1500 ppm/L. e pertanto tossici se di uso continuato.
Solo la Vitis vinifera contiene nel genoma geni della qualità, ma se si introducono geni della resistenza ai parassiti o agli stress termici e idrici, americani o asiatici, parallelamente nel genoma della Vinifera diminuiscono i geni della qualità.
Con il “genoma editing “ si possono fare introduzioni mirate di tratti di DNA per evitare i sapori foxy o selvatici .
Tuttavia il genoma editing non è di facile e breve esecuzione e, infine, la Corte di Giustizia dell’UE l’ha equiparato ai metodi di creazione degli OGM, ossia non presenti in natura.
Mario Fregoni

LA FILLOSSERA
Nella storia della lotta a questo parassita della pianta, la Francia è stata in prima linea e l’Italia ha avuto un ruolo di secondo piano > Nessuno studioso è stato inviato in loco, come per il coronavirus

GIULIO MAGNANI, PIONIERE ITALIANO DELLA LOTTA ALLA FILLOSSERA
Una raffinata ricerca storico documentale di Vincenza Papini, impreziosita da due contributi di Mario Fregoni
La scoperta ufficiale in Europa della fillossera si deve al botanico francese Jules Émile Planchon, che nel 1868 ne annunciò la scoperta in Francia.
Introdotta dal Nord America nel XIX secolo la fillossera fu responsabile della distruzione di milioni di ettari di vigneto, fino a quando (semplificando s’intende) si propose il metodo di lotta ancora oggi maggiormente utilizzato, e cioè quello della lotta biologica con innesto su portainnesto americano. Nel Nord Italia, l’afide devastatore, venne rinvenuto per la prima volta nel 1879 e l’anno successivo in Sicilia.
Questa, insieme a quella delle prime ricerche del sopracitato Planchon e dei suoi Questa, insieme a quella delle prime ricerche del sopracitato Planchon e dei suoi colleghi francesi (Viala, Foëx, Millardet e Ravax, per citarne alcuni), è storia nota.
Meno nota ai più è invece la questione delle prime ricerche di ambito italiano.
Tra i primi ad aprirne la via fu Giulio Magnani, nato nel 1839 a Pescia, rampollo di una delle allora più prestigiose e ricche famiglie patrizie della Valdinievole.
A ridare colore all’ormai sbiadita memoria della sua vita e del suo impegno negli studi viticoli, una raffinata ricerca storico documentale di Vincenza Papini, condotta principalmente sulle carte delle famiglie notabili di Pescia del XVIII e XIX secolo, e ora pubblicata nel volume “Il Pioniere italiano della lotta alla fillossera. Giulio Magnani e la viticoltura a Montecarlo”.
A Magnani si deve l’introduzione della viticoltura sperimentale a Montecarlo (Lu), in contesto agricolo ancora tradizionale alla fine del XIX secolo. Come documentato da Vincenza Papini, Magnani Fu tra i primi a portarvi vitigni francesi e semi e talee di specie
americane e di ibridi, suggerendo alla fine l’innesto delle varietà toscane su Vitis Riparia.
Il Volume reca prefazione e postfazione di Mario Fregoni che, con il suo consueto stile allo stesso tempo scientifico e piacevole alla lettura, inquadra Magnani Nel contesto internazionale, regalando altresì una sintesi della storia della lotta alla filossera.
Francesco Emanuele Benatti

Il volume è entrato a far parte del patrimonio librario di Unione Italiana Vini ed è disponibile per la consultazione (su appuntamento) presso la sede della Biblioteca UIV, in via San Vittore al Teatro 3, Milano (per informazioni biblioteca@uiv.it – 027222281).
EDITORE: COMUNE DI MONTECARLO – ASSOCIAZIONENAZIONALE  CITTÀ  DEL VINO
AUTORE:  VINCENZA PAPINI
PREFAZIONE E  POSTFAZIONE DI MARIO FREGONIANNO DI  PUBBLICAZIONE: 2020
PAGINE: 141

L’AMBIENTE E LE MALATTIE DEL VERMENTINO Le avversità del Vermentino di origine abiotica (siccità, eccesso idrico, basse ed alte temperature, gelate, grandine, salsedine) variano a seconda dell’area di coltivazione,…………..

 IL NOME DI VITIGNO NELLE DOC E DOCG DEL VERMENTINO Sino a quando il nome varietale di Vermentino sarà prevalentemente utilizzato in etichetta in Italia,non vi saranno problemi concorrenziali, specialmente se si pensa che il 75% della produzione è concentrata in Sardegna e una parte delle bottiglie porta il nome di Pigato in Liguria e di Favorita in Piemonte…………

LA FILLOSSERA DELLA VITE RITORNA A PREOCCUPARE.
La Toscana é sempre stata culturalmente attiva in agricoltura,soprattutto a partire dall’epoca dei Medici .
La sensibilità nella ricerca dei valori del passato ha portato alla pubblicazione del libro sulla storia della lotta alla lotta alla fillossera realizzata da un nobile viticoltore di Montecarlo (Lucca),Giulio Magnani,che dopo l’avvento………

Ha scritto il libro “LE VITI NATIVE AMERICANE E ASIATICHE.Ibridi portinnesti e varietali.” che ricorda la storia delle barbatelle che hanno risollevato la viticoltura del nostro paese.
“ Dopo l’arrivo in Europa dei tre flagelli americani ( oidio 1845, fillossera 1868,peronospora 1878),la viticoltura ha subito una forte crisi ed é molto cambiata.Prima era costituita unicamente dalla Vitis vinifera (specie caucasica),franca di piede,centenaria, di qualità eccelsa,ma sensibile alle predette avversità americane.Furono i Vichinghi (1000 d.C.) e Cristoforo Colombo (1492) gli scopritori dell’America del nord e successivamente delle specie di vite selvatiche resistenti ai suddetti parassiti.Gli studiosi ( francesi) di allora furono costretti a recarsi in America per salvare la viticoltura europea dalla fillossera e tornarono con la soluzione dell’innesto delle varietà di Vitis vinifera sui portinnesti americani,ampiamente trattati in questo libro,unitamente alle 30 specie genitrici americane.
Per l’oidio si trovò l’antidoto nello zolfo e per la peronospora nella poltiglia bordolese.Contro questi due funghi si pensò anche di creare degli ibridi fra Vitis vinifera e specie americane,ma il risultato qualitativo fu un solenne fiasco.Anche negli anni più recenti sono state proposti ibridi parzialmente resistenti ai funghi,ma non hanno uguagliato la qualità della Vitis vinifera.
Eguali risultati sono stati conseguiti con l’adozione delle specie asiatiche orientali,circa 40 ( cinesi,ecc.),linea seguita dalla Russia ed da altri Paesi a clima freddo.
La Vitis vinifera é pertanto insostituibile per ottenere vini eccellenti e dispone di circa 10000 varietà,pari al 99% dei vitigni coltivati nel mondo,,mentre il restante 1% é costituito dagli ibridi e dalle specie selvatiche.
L’autore esamina anche le prospettive dei nuovi metodi genetici (OGM,cisgenesi,genoma- editing),le cui varietà,sconosciute nella vite,il 25 luglio 2018 sono state parificate dalla Corte di Giustizia Europea, perché considerate ottenute con metodi inesistenti in natura.
La resistenza e la resilienza delle varietà di V.vinifera verso i parassiti si puó ottenere con numerosi prodotti chimici,ma anche di origine organica,utilizzati dalle viticolture naturalistica,biologica e biodinamica,che rappresentano il 18,5% dei vigneti del mondo e dell’Italia.In effetti i consumatori mondiali sono sempre più esigenti nei confronti della purezza dei vini e preoccupati per gli inquinamenti ambientali.
Il libro é molto apprezzato per la sua comprensibilità e per il contributo alle conoscenze storiche, scientifiche, ma altresì applicative, ricercate dai tecnici e dai viticoltori.

Grazie all’amicizia con il Prof abbiamo avuto un ticket particolare per l’ acquisto del libro che trovate allegato.



AsPerA

Leave a Reply

Your email address will not be published.